Il fatto che successe subito dopo in cucina fu di quelli che s’infilano nei ventricoli della memoria e li ostruiscono, producendo quei piccoli infarti di cui si continua a soffrire segretamente. Il passato è pieno di questi dispiaceri che ci ingannano con la dolcezza, e sono come luci fioche che solo noi vediamo ancora, stanze di poveri delitti a cui abbiamo assistito e ci portiamo dietro negli anni con quello stesso sentirci responsabili e colpevoli, e sono teste basse, gole che ingoiavano, sorrisi contraffatti per coprire il dolore di un rimprovero, avvilimenti incrociati in uno sguardo che chiede aiuto o almeno comprensione, cani che avremmo potuto raccogliere e salvare in una sera d’inverno, bambini trascinati da un padre in collera sul marciapiede che percorrevamo nell’altro senso, e non l’abbiamo più dimenticata quella piccola disperazione avvinghiata al braccio, e noi c’eravamo, passavamo di là, eravamo il bordo a cui le dita non si sono aggrappate, siamo pieni di questi dolori incidentali che hanno un conto in sospeso con noi e che paghiamo con l’unica moneta che ci resta, ricordando.

(“Da un’altra carne” – Diego De Silva)