Seduti nella stanza che dà sul giardino, al buio, guardavamo il Vesuvio e l’argentea distesa del mare, dove il vento sollevava le dorate scaglie della luna, facendole balenare come scaglie di pesce. Un odore forte di mare, cui si mesceva il fiato chiaro e fresco del giardino odorato dall’umido sonno dei fiori e dal fremito dell’erba notturna, entrava per le vetrate spalancate. Era un odore rosso e caldo, sapido d’alga e di granchio, che nell’aria fredda, già percorsa dai languidi brividi della primavera imminente, suscitava l’immagine di una tenda scarlatta ondeggiante nel vento. Una nuvola di un pallido verde s’alzava là in fondo dalla montagna di Agerola. Io pensavo agli aranci che il presentimento della primavera faceva già mézzi nei giardini di Sorrento, e mi pareva di udire un solitario canto di marinaio errar triste sul mare.

(“La pelle” – Curzio Malaparte)