Fantastoriare approda a teatro.
Prima di Natale ho conosciuto Monia dello Spazio Teatro Rem di Bollate, le ho parlato di Fantastoriare, lei mi ha spiegato le attività del teatro, ci siamo confrontate, ci siamo piaciute e così sabato 19 marzo mi ha invitato al “Per corso artistico teatrale genitori e figli”. Il titolo dell’incontro di oggi è: “Imitare e raccontare.” Non so assolutamente nulla, Monia è stata volutamente sul vago, mi ha detto: “Vieni e capirai.” Mi presento alle ore 10, in una fulgida giornata di primavera, il sole disegna rettangoli di luce sul parquet. Il programma prevede due incontri di un’ora l’uno: due gruppi diversi, bimbi di età diverse, il più piccolo ha 4 anni. Come sempre sono un po’ nervosa. Ma poi, come sempre, mi rilasso. Non è merito mio, è merito della Fantasia e dell’incanto della Fanciullezza. Ed è così che la parola imitare diventa uno specchio, un’ombra, il verso di un animale. Ci sediamo in cerchio a gambe incrociate. “Sapete cosa vuol dire imitare?” Prima di rispondere i bambini alzano la mano. Loro sì che sono educati. Ognuno dice la sua – ombra, specchio, ruggito. Quindi ci mettiamo in piedi. Adulto e bambino, l’uno di fronte all’altro, distanti il giusto perché le dita si sfiorino, in piedi, i piedi ben saldi a terra, gli occhi negli occhi, io capito con Giorgia nel primo gruppo e con Beatrice nel secondo gruppo. Giorgia è qui con il suo papà e il suo fratellino. La mamma di Beatrice non è potuta venire.
Monia fa partire la musica: poi passa tra di noi. Chi viene toccato dalla sua mano deve iniziare a muoversi lentamente. L’altro lo deve imitare. Poi si cambia. A turno ci muoviamo formando coreografie mute di mani; cerchi, ali, carezze. Siamo uno specchio che copia, senza interrogarsi sul senso. Gli occhi negli occhi. Lo specchio non abbassa mai lo sguardo.
Monia poi chiede agli adulti di sedersi e ai bambini di mettersi in fondo alla sala: dovranno attraversarla imitando i loro genitori quando sono stanchi o appena svegli o indaffarati o arrabbiati… Senza parlare, imitandone in silenzio la camminata. Verrà poi il turno dei genitori.
Monia domanda: “Che cosa si imitano di solito?”
“Le cose belle.” Infatti, sono tutti belli. I bimbi che sbuffano ingrugniti e i genitori che saltellano estasiati. Io sono stupefatta. C’è molta partecipazione da parte di tutti, c’è tanta emozione. Osservo questo via vai di passi strascicati, saltelli baldanzosi, smorfie e sbuffi, seduta per terra dentro un rettangolo di luce che mi scalda la schiena. Oggi è la festa del papà, l’inizio della primavera, un’ora lenta in mezzo a ore che corrono veloci. Poi Monia mi si avvicina, mancano 20 minuti al termine, mi chiede: “te la senti?” Io annuisco e mentre ci sediamo nuovamente in cerchio, non so assolutamente cosa dirò a tutti loro. Ma carica di fiducia inizio a parlare…

Vivere una vita non è attraversare un campo*.

Mi viene in mente questo verso, l’ho sentito dire da Paolo Nori durante un workshop di scrittura, non ricordo l’autore, so solo che è un autore russo. Mi viene in mente questo verso perché la sala oggi è un campo e tutti loro l’hanno attraversato dal principio alla fine. La vita per noi oggi è attraversare un campo. Mi sembra una bella storia e per raccontarla possiamo partire dal principio, dal mezzo o dalla fine. Raccontare è un po’ come imitare. Imitare la realtà, mettendoci dentro tutti gli specchi, i ruggiti, le ombre, i cerchi e le carezze che uno vuole, l’importante che abbia un senso. Chiedo se hanno voglia di inventare una storia. Urlano di sì. Parto io: “C’era una volta un maialino che faceva tanta cacca…” A turno ognuno aggiunge un pezzettino così che alla fine la storia diventa la storia del maialino che faceva la cacca a pois, rosa e azzurra, perché aveva mangiato un arcobaleno. Con quelli del secondo gruppo inventiamo la storia di Catelena che ogni tre passi saltava. E a furia di saltare era finita su una nuvoletta. E doveva andare alla festa di Carolina ma si era persa, tra nuvole e saltelli, poi Catelena finisce al pronto soccorso per un’indigestione di dolci, arriva anche un’inondazione e quindi una barca… Prima di andar via animiamo il racconto con una piccola recita. Tutti, sia chiaro, grandi e piccini. E pensare che sono arrivata qui con nessuna idea in testa.
Ringrazio i bambini del primo gruppo (Francesco, Nicolò, Giorgia, Riccardo, Johan e Youssuf) e del secondo (Emma, Beatrice, Matteo e Christian) per avermi accolto e per aver dato vita a queste due bellissime storie. E ringrazio, ovviamente, i loro genitori e Monia che, oltre a gestire lo Spazio Teatro Rem, è attrice, mamma e anche un po’ folletto. Un folletto dai capelli rossi.

(*Il verso è di una poesia di Pasternak, il titolo della poesia è Amleto)

T.R.