Non c’era niente da raccontare di se stessi: anche in chiesa, per la confessione pasquale, quando almeno una volta all’anno si poteva dire qualcosa di sé, si mormoravano soltanto le formule del catechismo, nelle quali il proprio io diventava davvero più estraneo di un pezzo di luna. Se qualcuno parlava di sé e non diceva solo delle sciocchezze, lo si definiva un originale. Il destino personale, fosse anche riuscito a svilupparsi in maniera sua, veniva spersonalizzato e consumato fino agli ultimi resti dei sogni, nei riti della religione, delle usanze e delle buone maniere, sicché negli individui restava ben poco di umano; anche «individuo», del resto, era una parola conosciuta solo come insulto.

(“Infelicità senza desideri” – Peter Handke)