Nel disinteresse, diceva Gualtieri, c’è un’ampiezza di visuale che nell’interesse non c’è. È una legge naturale, prima che un tema irrisolto della psicologia. Il cosiddetto interesse mette in moto una serie di processi di selezione e deselezione che il cosiddetto interesse non conosce, ma siccome di questi processi si occupa il cervello e il cervello dell’uomo oltre a essere dispersivo è solo in piccola parte fruibile e in gran parte inesplorato – quindi non è detto che sia stato creato per l’uso che comunemente se ne fa –, i processi di selezione seguono un metodo arbitrario per cui nel momento in cui ci si concentra su un oggetto si trascura la restante infinità, che invece viene segretamente registrata in forma sintetica dal disinteresse. La ragione di questo conflitto è che il cervello pensa. E soprattutto quello adulto pensa per categorie didattiche consolidate, non illuminate dall’istinto che si nasconde in qualche parte del corpo con la complicità degli ormoni ed è per così dire boicottato dal cervello che vorrebbe sempre dominarlo; per dominare l’istinto il cervello si serve di una propaganda faziosa e scorretta, facendo credere ai componenti dell’organismo che tutto quello che viene dall’istinto è sbagliato, contrario a una superiore istanza. Quale superiore istanza?, chiedono i componenti dell’organismo. Eh quale superiore istanza, risponde paternalisticamente il cervello, un’istanza superiore che è inutile che io vi stia a spiegare, perché dovete intendervi di medicina, biochimica, filosofia morale, diritto, teologia, etica dietetica e nutrizionismo, eccetera eccetera. E per dimostrare la sua bravura il cervello esibisce referenze e autoreferenze sempre un po’ sospette, specializzazioni e master che non voglion dir niente ma che creano un certo impatto suggestivo, per esempio: pianificazione dei processi strategici, digital management della metodologia dell’indotto, multimedialità dei cicli integrati, graphic design della radiologia vascolare.

(“La vita dispari” – Paolo Colagrande)