Era domenica, giorno d’appello. Domenica faceva l’appello a tutti i giorni della settimana. E l’appello partiva da sabato e procedeva a ritroso.
«Sabato.»
«Presente.»
«Venerdì.»
«Presente.»
«Giovedì.»
«Presente.»
«Mercoledì.»
«Presente.»
«Martedì.»
…
«Martedì.»
…
Martedì non rispose all’appello. Martedì non c’era. Se n’era andato dalla settimana perché aveva capito di essere uno di quei giorni tristi, in cui le persone fanno fatica ad alzarsi dal letto, ad andare a scuola, a fare la doccia, a lavare i piatti, a pagare il conto, a stringere la mano, a dire grazie, a dire prego, a dire ciao, il giorno più triste della settimana, senza personalità, chi partirebbe mai di martedì, chi andrebbe mai dal parrucchiere di martedì, ripeteva fra sé martedì. E così aveva detto addio alla settimana e si era messo in cammino verso la fine del calendario. Era partito a mezzanotte e zero uno, appena entrato in azione mercoledì. Che bel giorno era mercoledì, pensava tra sé martedì, pieno di promesse e di speranze. La metà esatta della settimana, altri due giorni e poi ci sarebbe stato il fine settimana. Tutti adoravano il fine settimana. Anche lunedì era un bel giorno, veniva appena dopo domenica, la grande madre, ed era quindi ancora carico di energia. Il martedì invece… il martedì invece bisognava impegnarsi in tutto. Non era giusto, no, non era proprio giusto che toccasse a martedì essere martedì.
Intanto nella settimana era scoppiato un bel putiferio. Giovedì, più pragmatico degli altri, stava dicendo: «Una settimana di sei giorni, ma vi rendete conto? Bisognerà cambiare tutti i calendari». Venerdì, famoso per il suo egocentrismo, aveva subito messo le mani avanti:«Vedo solo una soluzione al problema. Qualcuno dovrà fare i doppi turni, ma non guardate me, sia chiaro. Io ho già il mio bel daffare a preparare il fine settimana!» Sabato era scattato sull’attenti: «Questa è una vergogna!», ma era finita lì. Al sabato importava poco degli altri giorni perché lui era uno dei due del “fine settimana” e per questo intoccabile. Lunedì era l’unico vero amico di martedì, ne condivideva le sorti di “inizio settimana” e quindi gli era solidale. «Non fate gli sciocchi, bisogna cercare martedì e convincerlo a tornare tra noi, certo è sempre stato un giorno un po’ strambo, ma è importante per noi. Non possiamo abbandonarlo.» «E cosa dobbiamo fare, secondo te?» – venerdì sembrava infuriato – «uscire dal calendario e metterci alla ricerca di un comunissimo martedì? Tra poche ore finisce la settimana in corso, che succede se non torniamo in tempo? Io ribadisco la necessità dei doppi turni.» Domenica, in quanto grande madre, prese in mano la situazione: «Ecco il piano. Sabato, venerdì, giovedì e mercoledì andrete alla ricerca di martedì. Dividetevi gli spazi sul calendario. Avete 24 ore per trovarlo. Dopodiché, se la ricerca non porta a nulla, modificheremo il calendario. Nessun doppio turno. La settimana cambierà nome. Ma a quello penseremo poi. Ora andate, veloci…»
E così i quattro giorni si sparpagliarono lungo il calendario alla ricerca di martedì. A turno urlavano: «Martedì martedì torna qui!» / «Martedì martedì non fare il chicchirichì!»/ «Martedì martedì muoviti che devo fare la pipì» / «Martedì martedì mi senti sono giovedì» ecc ecc… Ma martedì, pur sentendosi chiamare, non rispose all’appello e andò a nascondersi dietro alla grande colonna del mese di Dicembre.
«Ehi, tu, che fai nascosto dietro di me?» chiese Dicembre indolenzito.
«Mi nascondo dagli altri giorni.»
«E perché, se è lecito?»
«Perché io sono un giorno triste e non voglio più far parte della settimana, voglio vivere per conto mio.»
«Sicuro? Hai mai provato a vivere per conto tuo?»
«No, ma non ho paura.»
«Buon per te.»
Ci fu un breve silenzio. Poi martedì, curioso come una cimice, chiese: «In che senso ‘buon per me’? C’è qualcosa che non so?»
«Sono tante le cose che non sai. Per esempio lo sai che il martedì è il giorno in cui nascono i maschietti con i capelli rossi e le lentiggini?»
«No.»
«E che le donne vanno al mercato a fare la spesa?»
«No.»
«E che le maestre assegnano meno compiti ai loro alunni?»
«No.»
«E che i maghi preparano le loro pozioni magiche?»
«No.»
«E che le talpe scavano le loro tane?»
«No.»
«Non sai tante cose di te, bello mio. Secondo me sei troppo impegnato a invidiare gli altri. Non si può vivere ogni giorno della propria vita al massimo, quindi avrai di sicuro dei brutti martedì, ma ne avrai anche tanti belli. Se vuoi un consiglio, torna dai tuoi compagni e cerca di vivere ogni giorno come viene. È una gran fortuna non essere da soli.»
Martedì con uno scatto uscì dalla colonna e alzò una mano in direzione di mercoledì.
«Ehi, mercoledì, sono qui.»
Mercoledì lo raggiunse radioso: «Eccoti, finalmente. Ci hai fatto prendere un bello spavento. Ma perché te ne sei andato?»
E mentre martedì e mercoledì tornavano al loro posto, martedì raccontò la storia della sua fuga e il parlarne lo fece star meglio. Al cospetto di domenica chiese scusa, chiese scusa a tutti. Spiegò le sue ragioni e, a parte venerdì, nessuno lo criticò. L’ordine fu ristabilito e l’appello finalmente concluso. Appena in tempo per far iniziare una nuova settimana. Una settimana con tutti i giorni. Giorni belli e meno belli. Giorni uguali, ma sempre nuovi.
(Questo piccolo racconto è un regalo che faccio alla piccola Eli perché lei ne ha fatto uno più grande a me. Mi ha regalato l’idea del “giorno assente” e ogni volta che ci vediamo mi regala un mondo di affetto)
T.R.