Il mare, per esempio? Se ne può fare a meno. Fa venire solo malinconia: a guardarlo vien voglia di piangere. Il cuore è in soggezione di fronte all’immensa coltre marina, e lo sguardo, stremato dall’uniformità di quel quadro infinito, non sa dove posarsi.
Il ruggito e i furiosi boati delle onde non carezzano il nostro debole orecchio; dall’inizio del mondo, ripetono sempre la stessa canzone, dal contenuto cupo e enigmatico; e sempre con dentro lo stesso sospiro, sempre gli stessi lamenti come di un mostro condannato al supplizio, e delle voci acute, sinistre.
Non ci sono uccelli che cinguettano intorno; solo i muti gabbiani, come reclusi, volano tristemente lungo la riva e roteano sull’acqua.
È imponente il ruggito della belva di fronte a queste urla della natura, e insignificante è anche la voce dell’uomo, e l’uomo stesso è così piccolo e debole che scompare, impercettibile, tra i dettagli minuti del grande quadro! Perciò, forse, è così pesante, per lui, guardare il mare.

(“Oblomov” – Ivan A. Gončarov)