La città che vorrei inizia qui e finisce lì. È percorsa solo da binari. Non più strade superstrade autostrade. La città che vorrei la si può girare solo in tondo. E per farlo bisogna prendere dei treni speciali che curvano a velocità supersonica senza deragliare. La città ha un sacco di piazze: le piazze sono la destinazione finale dei treni. Piazza binario morto, piazza binario cieco, piazza binario vecchio e così via. Le piazze sono vive e la gente che sale e che scende dal treno indossa abiti senza stagione. Scende il capotreno in calzoncini corti. Non sa di essere arrivato in piazza dell’inverno. È la prima volta che percorre questa tratta. Così, nemmeno il tempo di sgranchirsi le gambe, che già risale sul suo treno. Scendono il turista americano e quello giapponese, poi un italiano che assomiglia in tutto al turista americano e si capisce che non è americano solo perché al bar ordina il caffè in perfetto italiano. Nelle piazze della città che vorrei si giunge in treno. C’è chi si accontenta di far foto, chi si accomoda su una panchina e inizia un libro, chi si addormenta per la stanchezza del viaggio. I giovani siedono in cerchio e cantano le canzoni della loro generazione. L’adolescenza fa i conti solo con se stessa, tagliando il mondo fuori. I vecchi siedono in disparte e osservano senza essere visti: a volte sgranano gli occhi, a volte chiudono la bocca. Hanno dentro troppa vita già vissuta e sanno già troppe cose e forse questo loro osservare il mondo non riguarda il mondo in sé, bensì un’idea che hanno nella testa. La loro condizione gli permette di viaggiare gratis sui treni e non hanno fretta di salire sul primo convoglio in partenza, possono aspettare. E infatti aspettano. Le sirene, gli allarmi, i clacson, le grida dei pedoni schiacciati dalle autovetture, i sogni infranti dei motociclisti… tutto questo fa parte di un tempo che non c’è più. Ora la città gode di un silenzio quasi irreale, rotto a tratti dalle canzoni e dai fischi dei treni, per il resto non ci si ammala più, gli ospedali sono vuoti e la vita scorre sui suoi binari senza intralciare quelli degli altri. I treni hanno carrozze speciali per il trasporto di animali senza padrone e di padroni senza guinzaglio. Si è davvero perso il senso della distinzione e questo giova alla conoscenza. La vita è una questione corale. Chi non riesce a dire la sua è destinato al binario della lettera morta. Lì giacciono i pensieri disarticolati o mai formulati. Ma pochi giungono a quel binario. Nella città che vorrei gli uni tendono le mani agli altri. Il capotreno con i calzoni corti grida IN CARROZZA. Segue il fischio. Passa un uomo in triciclo, ben vestito e con la pipa. Il treno parte. La piazza gira su se stessa. Un prato fiorito prende il posto della panchina e del vecchio signore, un altro treno giunge e con esso nuovi passeggeri, nuovi eroi. La città che vorrei usa parole sue per definirsi, ma non chiude la bocca a chi vuole intonare il suo canto.

T.R.