Oggi, dopo il superamento del naturalismo, ho la sensazione che il romanzo non vada per una sola strada. Nelle arti figurative e nella narrativa in questo momento c’è un evidente desiderio di liberare tante creatività di tipo diverso, di sperimentare nuovi linguaggi. In un’epoca postmoderna come questa il tratto più comune all’arte e alla letteratura è il tentativo di combinare in modo nuovo elementi del passato, e forse per la narrativa dobbiamo parlare di post-Novecento: tutti i residuati della Grande Svendita del romanzo del Novecento (il “doppio”, la “maschera”, lo “specchio”, il “labirinto”, la “struttura policentrica”, quella “frammentata”, quella “circolare”) vengono utilizzati, oggi spesso manieristicamente, proprio come il capitello, la colonna e la cariatide sono usati dall’artista o dall’arredatore postmoderno per le sue invenzioni. E così avviene che la letteratura rimandi ad altra letteratura e non alla realtà che dovrebbe rappresentare, così viene fuori la letteratura fredda e quasi sempre artificiosa di oggi che, mentre mette in evidenza il sentimento di frantumazione del mondo in cui viviamo, ci rassicura riducendo tutto ad artificio artistico-letterario. Se si volesse concludere che quella nostra di oggi è una letteratura dell’inautenticità, direi che agli inizi del Novecento la consapevolezza della scissione dell’uomo, la perdita della totalità e del centro hanno sconvolto sia i libri che le coscienze; oggi invece tutto questo è diventato un espediente per rendere più interessante e complicato un romanzo.

(“Il fallimento della consapevolezza” – Raffaele La Capria)