Il napoletano che vive nella psicologia del miracolo, sempre nell’attesa di un fatto straordinario tale da mutare di punto in bianco la sua situazione. L’aspetto ambiguo dell’umanità del napoletano con la sua antitesi di miseria e commedia, di vita e teatro. Le due Napoli, una la montatura e l’altra quella vera. La Napoli bagnata dal mare e quella che il mare non bagna, il Vesuvio e il contro-Vesuvio. Eccetera eccetera. (…) Passano il tempo a coccolare e calcolare mistificazioni del genere, a venderle al maggiore offerente, a chiedere comprensione e ammirazione come se esigessero un credito, con un’aria imbarazzata e altezzosa. (…) Scontano un destino più forte di loro, pagano anche per gli altri napoletani la colpa di aver fatto di se stessi una leggenda. Di sfruttare questa leggenda. Di crederci, di nutrirla con la propria vita. Di cercare in essa l’assoluzione da ogni condanna, il riposo della coscienza inquieta, l’enorme straripante indulgenza della Grande Madre Napoli. (…) Che noia però questa Napoli usata come allegoria morale, come categoria dello spirito!

(“Ferito a morte” – Raffaele La Capria)