Noi sterili non sopportiamo i bambini anche perché, durante quel lungo pezzo di strada, l’altra metà degli adulti non fa niente per renderceli simpatici. Esattamente al nostro opposto, i genitori sono convinti che il mondo non abbia bisogno di loro, bensì dei loro figli. I genitori credono di aver lasciato un segno, e il loro segno, il loro ineguagliabile, meraviglioso, stupefacente segno, è quel coso che lancia brandelli di marinara in giro per la pizzeria. Eccolo lì, è quel coso che strilla perché la mamma ha rivolto la parola a un’amica. Eccolo lì, è quel coso che prende a calci il cane. Una volta, quando tutti gli adulti si riproducevano, i bambini crescevano ai margini delle tavolate senza per questo ricevere meno affetto, trovavano subito il proprio posto nella gerarchia del branco, chiedevano “papà, posso?”, giocavano tra di loro senza bisogno di animatori. Adesso che gli adulti sono in grande maggioranza sterili, i bambini sono i capolavori dei genitori, sono segni, gioielli creati non più con naturalezza di chi semplicemente asseconda gli automatismi del ciclo vita-morte-rinascita, bensì con la pianificazione mediata e sofferta di un’opera unica. Ed eccola qui l’opera unica, che tortura un’intera carrozza di Frecciarossa coi suoi pianti rabbiosi perché la Playstation ha finito la batteria.

(“La sposa” – Mauro Covacich)