Prima di essere questo faro, ero un uomo e venivo spesso qui a contemplare il mare. La tramontana in certe giornate era talmente forte da non darmi pace. Questo è uno dei terreni geologici più antichi dell’isola. Il mare gioca con la roccia e, quando è incazzato, s’impenna ed esplode. Sulla roccia nera si formano allora pozze d’acqua. Ma l’acqua dura poco e al suo posto resta un sedimento bianco, il sale. E poi il suo odore. Il giorno che sono diventato faro ricordo di essermi addormentato e di essermi svegliato dentro il buio – il buio, ora lo so, inizia dai promontori a sbranare il giorno. Avevo paura. Allora ho puntato i piedi, ho illuminato il pensiero e ho iniziato a girare su me stesso fino a radicarmi in profondità. È così che sono diventato ciò che sono. Ora che non mi muovo più riesco finalmente a vedere il movimento del mondo. Le onde sono i pensieri, nel vento migrano i sogni. La roccia – nera e a strati – è la vita. Non potete nemmeno immaginare quante storie passino di qui. Storie di stormi e del loro stormire, di uomini e del loro contemplare; oggetti abbandonati, perduti, mozziconi di sigaretta, un fazzoletto. Di tanto in tanto giunge qualcuno per sistemare le cose, ma non sempre ci riesce. Potrei rattristarmene, certo, ma non lo faccio. Dacché sono un faro ho capito che bisogna essere indulgenti con le illusioni degli uomini.
Prima c’è la luce poi il buio dopo il buio di nuovo la luce, la luce, il buio, la luce, il buio.
E ancora luce e ancora buio…

T.R.