Sergej Donatovič Dovlatov nasce a Ufa (città sugli Urali dove la famiglia è sfollata) il 3 settembre del 1941. L’anno dopo la famiglia torna a Leningrado ma i genitori si separano. Sergej vive con la madre in una Kommunalka. Nel 1959 s’iscrive alla Facoltà di Lettere dell’Università di Leningrado. A questi anni risalgono i primi tentativi letterari e un primo matrimonio che sfocia nel divorzio nel 1962. Senza terminare gli studi viene richiamato alla leva come guardia carceraria in un campo in Siberia; nel 1963 sposa Elena Davidovna Ritman, dalla quale ha due figli. Nel 1965 torna a Leningrado, inizia a lavorare per alcune testate giornalistiche. Frequenta il famoso caffè Saigon, sul Nevskyj Prospekt, dove i suoi racconti circolano sotto forma di samizdat (pubblicazioni clandestine). Nel 1971 si separa dalla moglie e, l’anno dopo, per un breve periodo si trasferisce a Tallin, in Estonia. Nel 1975 torna a Leningrado; una sua raccolta di racconti viene bloccata dalla censura. Dovlatov rientra oramai nella cerchia di intellettuali di cui il regime vuole sbarazzarsi. Nel 1977 la moglie emigra insieme alla figlia negli Stati Uniti e nel 1979 Dovlatov le raggiunge. Qui, insieme ad altri tre ex-giornalisti sovietici che abitano nel suo stesso palazzo, fonda il “Novy amerikanec” (1980) che lascerà per divergenze d’opinione due anni dopo. Alcuni suoi racconti cominciano a essere pubblicati con regolarità sul “New Yorker”. Sono gli anni più fecondi della sua attività letteraria. Muore il il 24 agosto 1990, a soli quarantanove anni, a New York. In Italia sono stati pubblicati, tra gli altri: Il parco di Puškin”, “La marcia dei solitari” e “Noialtri” (1983), “La valigia” e “Straniera” (1986), “Taccuini” (1990).