Mercoledì 28 giugno si è svolto il primo incontro della Palestra di scrittura, un nuovo percorso per “grandi” al suo esordio assoluto. Ci siamo incontrati al Museo della civiltà contadina di Fabriano, all’aperto, sotto un cielo che minacciava quasi pioggia, ma poi no. Ho portato con me la lavagna de “I lunedì fantastici” crivellata di baci e segni distratti della fantasia. Sulla lavagna ho scritto: “Scrivo per…”, “Questa è la mia voce”, “Tutto esiste per uno scopo”, “Utilità degli elementi (coerenza interna)”, “Esattezza”.  Scrivo per raccontare, sfogarmi, capire, dare senso, mettere ordine, testimoniare, accusare. Per trovare e/o affermare la mia voce, originale e unica. Bisogna quindi partire da un disegno ben definito, evocare immagini nitide e memorabili, usare un linguaggio preciso in quanto a lessico e resa (vedi Calvino, “Lezioni americane”), giungere allo scopo prefissato scegliendo elementi a esso funzionali. Ho chiesto alle otto partecipanti di portare una foto, personale o d’autore, che fosse in qualche modo significativa per loro. La foto è stata riposta in un cestino, capovolta, e pescata a caso. Sul loro quaderno hanno composto una storia partendo dalla foto, avevano a disposizione venti minuti. (La scrittura a mano, dice Natalie Goldberg, è più legata ai movimenti del cuore). Il cinguettio degli uccelli e un trattore in lontananza gli unici suoni oltre il nostro silenzio.

La storia non conclusa di Caterina

Trascorsi i venti minuti i testi sono stati letti a voce alta e commentati.
«Il tempo bello passato insieme sarà appeso alle grucce dei loro abiti di cotone cuciti in casa», scrive Marina. «Vedo lievi bagliori davanti a me, qualcosa mi batte sulla fronte, sono foglie, mi fanno il solletico…», lo scrive Daniela in “Apro gli occhi”. Luisella in “Un pomeriggio tranquillo”: «Il filo idealmente unisce tutte le chiome, come se servisse a far incontrare due mondi, distanti tra loro. È su quel filo che corrono le risate dei bambini».

“Estate” di Marina

E ancora «le diagonali che sono movimento, come pendolo che oscilla» ne “La banalità del mare” di Cristina, il vetro sotto i piedi e gli occhi verdi così grandi da contenere l’intera foresta amazzonica nel testo di Veronica, «il profumo della casa bassa con le tende di lino bianche alle finestre e la poltrona a righe bianche e nere e la sensazione di gioia e i respiri grandi» di Marilù. Lo sguardo, l’ascolto, hanno reso possibile la bellezza intesa come luogo protetto ove poter esprimersi senza giudizio. Capita a volte di toccare il cuore di chi ci è estraneo e di sentirlo vicino. Capita di non avere più paura. Ecco di cosa è capace la scrittura, lo sapevano altri prima di noi – perché questo racconto è inesauribile e non arriverà mai all’ultimo verso e cambia secondo gli uomini, parafrasando Mariangela Gualtieri. E oggi, lo abbiamo capito anche noi.

T.R.